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Etica, Dilemmi e Scelta in Togashi Yoshihiro

Questo articolo è stato scritto originariamente tra agosto e novembre del 2021. La mia intenzione iniziale era quella di pubblicarlo esclusivamente all’interno di una raccolta su fumetto e animazione, evitando di prendere un altro spazio sul blog di Matteo. Riflettendoci, non c’erano ragioni vere e proprie per non pubblicarlo online. Semplicemente, quando si scrive è anche bello sperimentare e variare gli ambiti di pubblicazione. In ogni caso, negli anni ho comunque passato il testo a vari amici come Matteo, Paolo Toti, Matteo Cardelli, Luca, Danilo Manzi e Lorenzo Di Giuseppe, che hanno fatto sempre seguire a un’attenta lettura delle fruttuose discussioni. Oltre a loro, lo scritto è arrivato anche a un’altra persona che ne è rimasta particolarmente entusiasta, tanto da voler scrivere un nuovo articolo che fosse (idealmente) il proseguimento del mio. Pensavo che fosse un’esagerazione, invece è andata effettivamente così: Settembre è il mese più crudele - perché vale la pena perdersi dentro York Shin City, che sarà presente in Keiko - Bedroom Comics Criticism #1, si pone proprio in continuità con Etica, Dilemmi e Scelta in Togashi Yoshihiro. Nonostante l’articolo di Keiko (che mi è stato già inviato) sia in linea di principio apprezzabile anche senza aver letto il mio, mi sembrava comunque una buona cosa che i lettori e le lettrici vi avessero accesso, in modo da avere sotto gli occhi il quadro completo. Spero la troverete una lettura gradevole.

Ecco perché i tipi troppo seri sono difficili da trattare.
Passano da un estremo all’altro.
(Yusuke Urameshi, Yū Yū Hakusho)

Introduzione

Quando ci approcciamo alle narrazioni (realistiche o meno) non è difficile ritrovarci a dare una valutazione morale degli eventi che ci si presentano davanti. Questo succede con ogni tipo di storia, dai romanzi, al cinema fino ai fumetti. Si potrebbe forse sostenere che, in qualche misura, ogni tipo di narrazione ha un impegno morale sottostante; allo stesso modo, però, è innegabile che in alcune opere questo valore traspaia con maggiore lucidità.
Prendiamo come esempio dei classici del fumetto giapponese: in Devilman, Akira, Monster o Nausicaä della valle del vento è veramente difficile non notare una forte componente etica al centro dell’opera. Storie di questo tipo possono infatti avere un ruolo fondamentale per il lettore: Monster può portare a interrogarsi sul valore di certi dilemmi morali nel momento in cui la propria deontologia si trova in contrasto con un particolare contesto, mentre Nausicaä può farci riflettere sul modo in cui concepiamo la natura e come dobbiamo agire nei suoi confronti1.
In altre parole, è plausibile assumere che le opere narrative possano avere un ruolo attivo nella nostra formazione morale2 e che alcune possano essere più adatte rispetto ad altre per questo ruolo. Lo scopo di questo articolo è mostrare che il mangaka Togashi Yoshihiro dovrebbe essere compreso tra gli autori che presentano un’attenta problematizzazione morale all’interno delle loro opere.
Togashi è generalmente conosciuto per la sua produzione mainstream, in particolare per Yū Yū Hakusho (conosciuto in Italia come Yu degli spettri) e Hunter x Hunter (opere già considerabili come classici nella produzione giapponese); questo non implica però che l’autore scelga delle tematiche o delle narrazioni superficiali nelle sue opere3. Ciò che proveremo a sostenere è che nelle opere di Togashi la componente etica sia, infatti, fondamentale per comprendere la poetica stessa dell’autore.
Nello specifico, si proverà a dimostrare che nelle opere di Togashi è presente una forte affinità con una famiglia di teorie etiche che possono essere connesse alla figura di David Hume; per questo motivo la prima parte dell’articolo sarà dedicata a una breve esposizione delle etiche humeane, mentre la seconda e la terza parte analizzeranno dei casi presi dalle opere di Togashi. La seconda sezione avrà uno scopo più divulgativo e sarà accessibile anche a chi non si è mai avvicinato all’autore, mentre la terza avrà il ruolo di presentare esempi e suggerire “linee di ricerca” a chiunque sia già appassionato del mangaka. Quasi ironicamente, chi scrive ha deciso di dedicare la seconda parte all’opera meno conosciuta dell’autore tra quelle pubblicate in Italia (cioè Level E), mentre l’ultima si focalizzerà su quelle più famose.

Etiche humeane a grana grossa

Come abbiamo già accennato, il quadro interpretativo che prenderemo come riferimento per analizzare le opere di Togashi vede come figura cardine il filosofo scozzese David Hume. Qualcuno potrebbe trovare questo richiamo a Hume nel ventunesimo secolo come anacronistico. Tale accusa è aggravata dalla sua applicazione a opere pop di recente pubblicazione, come quelle di Togashi.
Questa scelta va quindi giustificata. Il modo migliore per smarcarsi da queste accuse è far notare che le etiche humeane stanno trovando un’interessante riscoperta in vari ambiti della filosofia morale4: da una parte assistiamo a una ripresa delle cosiddette etiche della virtù (di cui le etiche humeane fanno parte), da un’altra è innegabile un interesse sempre maggiore per argomenti come le emozioni o la natura sociale dell’uomo. Oltre a questo, le etiche humeane si prestano particolarmente bene a essere integrate in un quadro naturalistico, cosa che permette loro di interagire fruttuosamente con ambiti come la psicologia cognitiva e la biologia.
All’interno dell’articolo prenderemo una posizione molto generale che si riferisce alle teorie “storiche” di Hume; questa scelta è solo di natura retorica, per evitare di allontanarsi troppo dallo scopo dell’articolo. Si tenga a mente, però, che le posizioni presentate possono avere una valida applicazione in teorie contemporanee5.
Quando parliamo di etiche humeane, attribuiamo loro due caratteristiche fondamentali: il fatto che siano etiche delle virtù6 e che abbiano una matrice sentimentalista.
Le etiche delle virtù sono teorie normative che, per distinguere tra azioni morali e immorali, non si appellano a regole universali che devono essere rispettate, ma al fatto che un agente abbia sviluppato particolari disposizioni all’azione. Per comprendere meglio la differenza con altri tipi di teorie etiche, si consideri il caso di un medico che riceve una richiesta di aiuto da un paziente per effettuare un suicidio assistito. Poniamo che il suicidio assistito sia considerato come un’azione illegale e che una conseguenza sicura in caso di trasgressione sia la perdita del posto di lavoro per chiunque lo esegua. Il medico decide comunque di compiere l’azione e di aiutare il paziente con il suicidio, come atto di disobbedienza civile. Ovviamente il medico perde il lavoro e si ritrova a non avere più un salario per sostenere la sua famiglia. Per certi tipi di etiche questa azione potrebbe essere considerata come scorretta, dal momento che il protagonista del nostro esempio non ha seguito in modo fedele la sua deontologia professionale, oppure perché quella singola azione porta, per chi la compie, un quantitativo di costi molto superiori ai benefici.
Per un’etica della virtù, invece, un tipo di comportamento simile può essere tranquillamente considerato come morale, dal momento che questo esibisce una serie di disposizioni alla compassione verso il paziente e al coraggio verso delle regole che si avvertono come scorrette. Notiamo già, quindi, che le etiche della virtù possono essere considerate come teorie in cui il contesto ha un valore fondamentale, così come lo hanno le intenzioni e le ragioni dell’agente. A differenza di altre teorie etiche, il carattere e i bisogni degli individui coinvolti nell’azione morale sono estremamente importanti per un teorico delle virtù. Questa idea si sposa benissimo con la seconda caratteristica delle etiche humeane, cioè il fatto che i sentimenti siano usati come risorse che ci permettono di distinguere un’azione virtuosa da una viziosa.
Per uno humeano, infatti, tale distinzione è data dai sentimenti di approvazione o di biasimo che proviamo di fronte a una certa azione7. Predicati come “agire moralmente” andrebbero quindi ancorati a chi enuncia il giudizio morale.
Di fronte a una stessa azione, potremmo infatti trovarci in casi in cui lo spettatore a₁ ritiene l’azione virtuosa, mentre a₂ potrebbe trovarla immorale; la contraddizione sarebbe ovviamente evitata dall’uso di predicati come “essere virtuoso/vizioso per x”.
Quello che emerge è una teoria in cui la distinzione tra azione morale e immorale ha una matrice psicologica, senza richiedere alcun impegno rispetto all’esistenza di proprietà morali8.
Chiaramente una teoria di questo tipo ha come conseguenza diretta l’esistenza di una grande disomogeneità nei giudizi morali, dal momento che, anche all’interno di uno stesso gruppo di individui, i bisogni e i sentimenti dei singoli possono essere molto variabili9. La cosa interessante è che in etiche di questo tipo uno spazio rilevante non è occupato solo dai sentimenti degli individui, ma anche dalla nostra capacità di comprendere le ragioni degli altri quando compiono particolari scelte. Chiaramente comprendere le ragioni altrui potrebbe non essere sufficiente per ritenere un’azione come virtuosa, poiché potremmo trovare un’azione riprovevole pur comprendendone le ragioni. Quello che è importante tenere a mente è che la comunicazione dialogica tra individui e lo scambio di punti di vista diversi ha un ruolo centrale all’interno delle etiche humeane.
Allo stesso modo è necessario ricordarsi che, essendo una teoria morale che si appella ai sentimenti e ai desideri dei singoli individui, per un teorico humeano è abbastanza naturale trovarsi in situazioni conflittuali di fronte a un dilemma morale.
Poniamo che, di fronte alla macellazione di un gruppo di agnelli, il fattore Thomas si ritrovi a scegliere se favorire l’azione oppure osteggiarla. Aggiungiamo inoltre questa clausola: Thomas ha allevato personalmente ognuno degli agnelli insieme alla figlia, ma sa anche che la loro carne sarà necessaria per sfamare i bambini di un orfanotrofio.
Calato in questa situazione, Thomas potrebbe volersi rifiutare di uccidere gli agnelli a causa del legame affettivo che ha sviluppato con loro, mentre dall’altro lato potrebbe provare una profonda compassione verso i bambini dell’orfanotrofio che, altrimenti, si ritroverebbero senza cibo. In questo caso Thomas potrebbe essere nella condizione di non saper scegliere. Per un’etica humeana il rifiuto di scegliere in situazioni simili non è necessariamente da valutare come immorale10.

Come abbiamo già accennato, un’idea centrale in queste teorie è che le scelte morali non siano realisticamente sganciabili dagli interessi e dai desideri degli individui11: quando ci troviamo a fare delle scelte, potremmo non essere “trasparenti a noi stessi” e desiderare cose estremamente differenti tra di loro. Questo potrebbe portarci a non saper decidere che azione compiere in un particolare contesto. Riassumendo, ci troviamo di fronte a teorie che relativizzano la distinzione tra morale e immorale ai singoli individui che giudicano un’azione e che potrebbero non condannare come immorale la possibilità da parte di un agente di non saper agire di fronte a certi dilemmi morali. Arrivati a questo punto, un’obiezione abbastanza ovvia che potrebbe essere mossa alla teoria che abbiamo presentato è questa: se un’azione morale è veramente fondata sui sentimenti che proviamo singolarmente, allora non è possibile un vero e proprio disaccordo morale12. È normale che, quando compio un’azione, io approvi ciò che sto facendo, in quel caso l’azione sarebbe buona per me. Io potrei, però, compiere un’azione che danneggia molte persone e approvare comunque la mia stessa condotta. In questo modo un assassino potrebbe compiere un’azione virtuosa almeno quanto può compierla un santo, dal momento che entrambi hanno delle ragioni e dei sentimenti che permettono di approvare le loro stesse azioni. Questo problema viene parzialmente risolto considerando il concetto di simpatia che Hume presenta nel Trattato sull’intelletto umano13. Con simpatia ci riferiamo a un meccanismo psicologico non-inferenziale che ci permette, in gradi diversi, di provare le stesse sensazioni esperite da un individuo quando si trova in una particolare situazione14. Quella della simpatia è una sorta di tendenza naturale che gli uomini hanno di immedesimarsi nei panni degli altri, comprendendo le loro passioni e i loro interessi. In questo senso, quando compiamo un’azione che sia utile o piacevole per gli altri noi possiamo sentire che questi provano un piacere derivante dalla nostra azione, proprio in virtù della simpatia. Allo stesso modo, la simpatia ci permette di comprendere quando arrechiamo danno a qualcuno.
Questa nozione ha delle conseguenze estremamente importanti all’interno delle teorie humeane. Per prima cosa ci permette di risolvere il problema del disaccordo: un’azione morale non sarà solo un’azione che noi stessi approviamo, ma che potrà essere approvata anche dagli altri in un contesto più generale possibile. In questo modo l’azione di un assassino potrebbe essere approvata da lui, ma trovare una disapprovazione totale da parte degli altri. La simpatia si presenta quindi come una guida necessaria per imparare ad agire moralmente.
Una seconda conseguenza fondamentale è il fatto che la nostra pratica morale debba essere considerata come strutturalmente imperfetta. Se agire in modo morale implica compiere delle azioni che siano approvabili anche dagli altri, questo vuol dire che un’azione morale dipende dal contesto sociale in cui è effettuata e può essere continuamente perfezionata15 a causa della variabilità dei nostri rapporti sociali. Questa idea permette di considerare una visione dell’etica fortemente vincolata ai contesti sociali e storici, in cui gli individui possono cambiare continuamente prospettiva rispetto alle cose tramite l’interazione virtuosa con gli altri. Da questo punto di vista, agire moralmente non è tanto un fatto, quanto un ideale a cui aspirare.
In quanto esseri umani ci ritroviamo gettati in un contesto sociale in cui interagiamo con persone con caratteri e interessi diversi dai nostri; proprio tenendo conto di questi fattori possiamo comprendere come agire in modo morale nei confronti degli altri.

Come trattare uno stomaco invisibile

Dopo aver fornito le coordinate concettuali che useremo d’ora in avanti, possiamo iniziare a vedere come queste si applichino alle opere di Togashi Yoshihiro partendo da una storia breve presente in Level E, manga serializzato su Weekly Shōnen Jump dal 1995 al 1997 e pubblicato in Italia da Planet Manga nel 2012. Ci sono diverse ragioni per dare a Level E un ruolo centrale all’interno di questo articolo. La prima ragione riguarda la sua scarsa popolarità tra i lettori italiani; tra le opere di Togashi portate in Italia, infatti, Level E è sicuramente la meno letta e conosciuta. Dietro questa analisi c’è quindi la speranza che qualche lettore interessato possa avvicinarsi a un manga decisamente meritevole. La seconda è che, a livello editoriale, l’opera risulta essere abbastanza peculiare: non solo Level E rappresenta un caso di pubblicazione mensile su rivista settimanale, ma, in un’intervista pubblicata per i 50 anni della rivista Weekly Shōnen Jump, è Togashi stesso ad affermare che la creazione dell’opera avesse lo scopo di mostrare un lato del suo carattere che non era riuscito a emergere in Yū Yū Hakusho16. Oltre a questo, Togashi parla di un suo interesse “duplice” per il fumetto, che l’autore paragona al rapporto dialettico tra yin e yang: mentre da una parte rimane costante la sua voglia di pubblicare per una rivista mainstream, dall’altra non nega un profondo interesse per riviste alternative come Garo. Queste due informazioni possono servirci per comprendere perché ritenere Level E così interessante. Di fatto è impossibile negare che, nella produzione dell’autore, l’opera sia quella che si allontana di più da strutture e tematiche mainstream; se consideriamo che questa natura più alternativa nasce proprio dalla volontà del mangaka di svelare “uno dei suoi lati nascosti”, è abbastanza plausibile pensare che Level E sia un’opera fondamentale per comprendere il pensiero e la poetica di Togashi.
Quest’ultimo punto è collegato alla terza ragione, cioè quella tematica. Nelle storie brevi di Level E possiamo infatti trovare, seppur spesso a livello germinale, quasi tutti i nuclei tematici presenti nelle opere di Togashi: dal rapporto tra natura e cultura al tema del cannibalismo, dalla riflessione sull’importanza delle informazioni fino alla natura della finzione e del gioco. Questi e molti altri temi fondamentali appaiono in modo evidente all’interno di Level E; capiamo quindi come l’opera sia necessaria sia per comprendere meglio gli interessi dell’autore che per avere un quadro più chiaro degli argomenti affrontati nelle altre opere.

Come suggerito anche dallo stesso Togashi, per esempio, il design di personaggi come Illumi e - in certi contesti - Neferpitō richiama quello dei gatti protagonisti di Nekojiru Udon, manga cult pubblicato sulla rivista di fumetto alternativo Garo negli anni 90 arrivato di recente in Italia grazie alla collana Yami di In Your Face Comix. È interessante notare come il richiamo a Nekojiru non riguardi solo laspetto grafico. Personaggi come Illumi e Neferpitou, infatti, sono definiti da poteri Nen che permettono di manipolare direttamente i corpi (propri e altrui) che, così, sono trattati alla stregua di oggetti. Le dinamiche di manipolazione (subita o effettuata) sono centrali in Nekojiru Udon.

La storia breve che analizzeremo, cioè quella dei capitoli 004 e 005, affronta proprio il tema del cannibalismo, argomento già presente in Yū Yū Hakusho ma poi ampliato in Hunter x Hunter.
Un primo punto di contatto con le etiche humeane si trova già nella struttura stessa della storia: nei capitoli 004-005 viene infatti presentato, meta-narrativamente, un manga disegnato dal principe Baka (protagonista di Level E e alter ego dell’autore) che viene esposto a un editor decisamente poco brillante. Quello che il principe Baka cerca di spiegare è che la sua opera può svolgere un ruolo di perfezionamento morale, permettendo ai lettori di comprendere punti di vista differenti dai propri. Un’idea simile è perfettamente in linea con una teoria humeana, dal momento che questa assume che le narrazioni abbiano proprio il ruolo di raffinare i sentimenti dei lettori nei confronti degli altri individui17.
Detto questo, possiamo analizzare la trama del manga scritto da Baka (cioè quello che leggeremo nei capitoli 004 e 005). La storia tratta di un gruppo di studenti delle superiori che, durante una gita scolastica, si ritrovano involontariamente ad assistere a una macabra scena di cannibalismo compiuta da un loro compagno di scuola, Yamamoto, verso un’altra studentessa. La struttura della storia mescola momenti thriller e horror in aggiunta a una forte componente sci-fi nella parte finale. Perfettamente in linea con gli altri racconti di Level E, anche la storia dei capitoli 004 e 005 parla di alieni che popolano la Terra all’insaputa degli umani; occasione che l’autore sfrutta per permettere a culture, società e visioni del mondo diverse di interagire. È infatti fondamentale notare che, sin dal primo capitolo dell’opera, l’interesse di Togashi sembra essere squisitamente socio-antropologico: l’immenso immaginario della fantascienza non è solo uno strumento narrativo ma anche un banco di prova per costruire culture e valori alternativi che possono facilmente entrare in conflitto con i nostri. Proprio questo interesse sembra giustificare in modo brillante la presenza nel racconto del tema del cannibalismo.
A un certo punto della storia, infatti, Yamamoto (con i suoi familiari) si rivela essere un alieno del pianeta Conwell appartenente a una specie che si riproduce tramite la fagocitazione del partner femminile; questa azione è invogliata biologicamente da un fortissimo senso di fame che viene a placarsi solo dopo che la carne della partner viene assimilata18. Yamamoto e gli altri componenti della sua famiglia sono gli ultimi conwelliani rimasti e si trovano nella terribile situazione di continuare a provare fame per coloro verso le quali provano attrazione sessuale, senza però potersi riprodurre. Come viene specificato, infatti, l’assimilazione di carne non conwelliana non ha alcuna funzione nella loro riproduzione. La cosa interessante da tenere a mente è proprio il fatto che i conwelliani continuano a provare questo tremendo senso di fame finché non si nutrono della partner e che questo sentimento non è placabile in altro modo (questo fenomeno xeno-biologico nella storia è chiamato stomaco invisibile); in un certo senso i conwelliani si “trovano costretti” a nutrirsi di carne umana, seppur sia completamente inutile a fini riproduttivi.
Ci sono almeno tre punti importanti che analizzeremo: il problema della responsabilità dei conwelliani, quello della comprensione dei protagonisti e, infine quello del dilemma di Itakura.
Durante l’analisi questi argomenti verranno messi in continuità.

Il fenomeno del cannibalismo è molto complesso non solo per ragioni scientifiche ma anche per la sua forte connessione con le nostre intuizioni morali. Dal nostro punto di vista è abbastanza comune trovare il cannibalismo come un’azione immorale; interessante è riflettere sul fatto che, invece, non tendiamo a dare giudizi così netti quando il cannibalismo è effettuato da specie diverse dalla nostra. Intuitivamente, un motivo valido potrebbe essere che le azioni di un cannibale umano dipendano da azioni volontarie o razionali, cosa che magari non succede per altri animali19.
Solitamente si crede che, come un uomo che si nutre di carne non-umana può passare volontariamente a una dieta vegetariana, allo stesso modo un cannibale possa smettere di mangiare carne umana. L’idea alla base di questa convinzione abbastanza comune è che esista una qualche forza chiamata volontà in virtù della quale riusciamo ad attribuire responsabilità ad altri individui e a riconoscere le loro azioni come morali.
Togashi ci propone una situazione in cui il cannibalismo non può essere inteso come volontario. In questo caso la fame dei conwelliani non è solo uno stato esistenziale, ma anche una condotta di cui non possono essere considerati realmente responsabili. A fornirci uno strumento immaginativo prezioso per metterci nei panni dei conwelliani è Itakura, uno dei protagonisti della vicenda, che paragona la loro situazione a quella che proverebbe un umano se gli fosse ordinato di non dormire20. Addormentarsi, infatti, sembra essere un’azione che non può essere controllata dalla volontà o da altri atti intenzionali (se non in minima parte), a differenza di azioni come leggere, scrivere o afferrare una palla. Una chiara applicazione delle etiche humeane si lega proprio a questo problema: il fatto che i conwelliani non abbiano controllo delle loro azioni li rende effettivamente colpevoli di azioni immorali? Mentre per certe etiche che si appellano a regole astratte il comportamento dei conwelliani è inequivocabilmente immorale (ad esempio teorie che ritengono che uccidere sia intrinsecamente sbagliato), possiamo capire che per un’etica humeana la cosa è molto più difficile.
Questa stessa difficoltà è percepita dal gruppo dei protagonisti dopo aver scoperto la verità sui conwelliani. Ascoltando una registrazione del fratello di Yamamoto, i ragazzi iniziano a capire lo stato d’animo degli alieni e il modo in cui si trovano costretti a vivere. Anche in questo caso troviamo un approccio squisitamente humeano alla questione: grazie all’interazione con il mondo conwelliano, i protagonisti hanno una forma di perfezionamento dei loro sentimenti morali che li porta a vedere il problema in modo molto più sfumato.
Infine, il terzo punto riguarda proprio la scelta che i protagonisti decidono di compiere nei confronti della famiglia Yamamoto. Come abbiamo già detto, per le etiche humeane possono esistere dei casi in cui l’azione migliore da compiere di fronte a un dilemma morale è quella di non risolverlo. Di fatto è quello che succede anche nel finale del capitolo 005: i protagonisti, dopo aver compreso la situazione, non sapendo cosa fare con Yamamoto, lasciano perdere la questione. Quest’azione può avere diverse interpretazioni, anche contrastanti. Di fatto si potrebbe sostenere che la scelta dei protagonisti abbia una natura esclusivamente egoistica: essendo fuori pericolo (poiché i conwelliani attaccano solo individui di sesso femminile), loro perdono interesse per il problema. Questa interpretazione sembra però troppo superficiale per essere presa sul serio, poiché non riuscirebbe a spiegare il comportamento dei personaggi nel finale della storia. L’ipotesi che sosteniamo è che loro decidano di lasciar perdere la questione semplicemente perché si rendono conto di non poter fare nulla a riguardo. I ragazzi si trovano infatti in un contesto in cui quasi nessuno sa della presenza di creature aliene sulla Terra, quindi le loro accuse verso Yamamoto potrebbero risultare folli e inaffidabili agli occhi altrui. Allo stesso modo, però, non provano a danneggiare o fermare Yamamoto, proprio perché sentono un senso di tristezza nei suoi confronti e comprendono che si trova in una situazione incontrollabile. Questa ipotesi trova riscontro nell’affermazione fatta da Itakura a fine storia, dove dice che avrebbe voluto parlare con Yamamoto, ma non avrebbe avuto niente da dirgli, e nella scelta, altrimenti ingiustificabile, dei protagonisti di continuare a lavorare nella clinica aliena che gli aveva fornito informazioni sui conwelliani. L’interpretazione più plausibile, perfettamente in linea con il quadro humeano, è proprio che i protagonisti, di fronte alla loro impotenza nella risoluzione del dilemma, abbiano deciso di fare maggiore esperienza con specie differenti per avere una sensibilità più sviluppata all’interno di quei contesti e capire quale sia il modo migliore di agire di fronte ad altri problemi simili21.

Il principe Baka, alter-ego di Togashi, prova a spiegare al suo editor il motivo per cui ha disegnato la storia che leggiamo nei capitoli 004 e 005 di Level E.

Esempi e spunti

Mentre la sezione precedente aveva lo scopo di presentare un caso che avesse una valenza generale, facilmente comprensibile anche da un lettore lontano dalle opere di Togashi, quella attuale serve a fornire una serie di esempi che possano rendere evidente la plausibilità di un approccio humeano alle opere dell’autore. D’ora in avanti si assume che il lettore abbia almeno una conoscenza basilare delle trame e dei temi di Yū Yū Hakusho e Hunter x Hunter.

Ancora carne, ma più ironia

Nonostante Yū Yū Hakusho sia principalmente ricordato per le sue scene di combattimento, è interessante notare come una forte tematizzazione morale emerga negli ultimi 60 capitoli dell’opera. Basti pensare che leggendo il capitolo 117, in modo totalmente inaspettato, il lettore si ritrova, tramite gli occhi di Sensui, ad assistere a un festino in cui decine di persone vengono perversamente torturate, fatte a pezzi e gettate in pozze di sangue. Questo cambiamento di stile, esplicitamente horror, fa da “apripista simbolico” all’interesse per i temi morali che l’opera inizia a sviluppare. Lo scopo evidente di questi ultimi capitoli è chiedersi fino a che punto dei principi morali possano essere generalizzabili22, mostrando come i rapporti tra bene e male siano in realtà estremamente sfumati: dopo aver combattuto con i demoni per buona parte della storia, i personaggi inizieranno infatti a interagire maggiormente con loro, fino a giustificare molte delle loro pratiche.
Un esempio emblematico può essere trovato nel capitolo 163 dove Yusuke, vedendo che Raizen sta morendo di fame per rispettare un divieto auto-imposto, si propone di procurargli della carne umana per sfamarsi23. Questa scelta, a prima vista contraddittoria, può essere facilmente interpretata da un quadro humeano. Dobbiamo infatti ricordare che, dopo un anno passato nel regno dei demoni, Yusuke ha tutto il tempo di comprendere i valori dei demoni e le loro pratiche di vita. I demoni al seguito di Raizen si nutrono di carne umana, ma non ritengono il fatto così importante, tanto che alcuni ammettono tranquillamente di voler smettere di farlo24. All’interno di un’ipotetica scala dei valori, per i sottoposti di Raizen ciò che è importante è il divertimento provocato dallo scontro, la carne umana ha solo la funzione di accrescere la forza dei demoni permettendo loro di avere performance migliori durante il combattimento. Yusuke mostra di aver compreso pienamente questa scala di valori, per questo si propone di procurare della carne al padre. In quel contesto sociale l’azione non è sicuramente vista come immorale, mentre lo sarebbe stata nel caso il consumo di carne umana fosse stata già abolita nel regno di Raizen.
Un altro caso decisamente interessante riguarda il rapporto simmetrico Yusuke e Sensui. Per come viene presentato, Sensui è un individuo con un fortissimo senso di giustizia25, che non risparmia nessuno dei demoni con cui combatte. Dopo aver incontrato Itsuki, questo lo corrompe “come si fa con una bambina innocente facendole vedere un porno senza censure”26 mostrandogli le mostruosità di cui sono capaci gli esseri umani; proprio da lì Sensui decide di voler causare un genocidio umano. Nonostante siano entrambi detective del mondo degli spiriti, Sensui pare essere una versione degenerata di Yusuke e la ragione principale di questa differenza è radicata nel concetto di moralità che hanno i due. Mentre Yusuke viene scherzosamente considerato come un detective poco serio da Koenma, Sensui, al contrario, ha un ferreo senso di giustizia. Se Yusuke si adatta particolarmente bene a un’etica più concreta (come quelle humeane), Sensui è associabile a visioni etiche astratte e universalistiche. Di fatto, Sensui sembra voler sterminare gli esseri umani perché, come i demoni, anche questi sono malvagi per natura, se non peggio. L’imperativo di far estinguere i malvagi, che inizialmente era applicato solo ai demoni da parte di Sensui, subisce un cambio di dominio: dopo aver realizzato che gli umani sono capaci di azioni orribili, allora la norma deve essere applicata anche a loro. Posizioni di questo tipo sono chiaramente in contrasto con un’etica humeana e il fatto che Sensui sia descritto come un personaggio negativo, potrebbe essere interpretato come una critica verso un modo eccessivamente astratto di intendere le distinzioni morali. Dopotutto, il finale di Yū Yū Hakusho sembra suggerire proprio che mondi diversi hanno sistemi di valori complessi e ugualmente ricchi che, nonostante le differenze, possono in qualche modo provare a integrarsi e comunicare.

“Forse perché non li conosciamo?”

Mentre in Yū Yū Hakusho le questioni morali iniziano a emergere solo nell’ultimo terzo dell’opera, Hunter x Hunter sembra ereditare sin dal principio una certa complessità tematica da Level E, complessità tematica spesso sviluppata in modi decisamente brillanti. È inutile dire che temi come quello di natura e cultura siano fondamentali nella saga delle Formichimere, così come per un lettore attento sarà impossibile non notare che il rapporto tra Komugi e Meruem viene impostato secondo quelle dinamiche comunicative e di comprensione dei valori reciproci che sono fondamentali nelle etiche humeane. Poiché lo spazio rimanente è veramente poco (e poiché sarebbe necessaria una serie di articoli per esaurire la ricchezza delle Formichimere), preferiamo fornire esempi tratti da una saga meno esplicita su queste tematiche, ciò quella di York Shin City.
York Shin City è una saga decisamente peculiare, sia dal punto di vista stilistico che da quello narrativo: di fatto la storia alterna momenti noir ad altri di thriller investigativo, sempre all’interno di un contesto horror di sfondo. Nonostante queste componenti estetiche siano fondamentali durante la lettura della saga27, uno spazio importante viene dedicato anche al modo in cui le azioni della Brigata Fantasma vengono percepite dai personaggi della storia.
Se dovessimo porci all’interno di una narrazione shōnen classica ci troveremmo in un conflitto morale che rispecchia la divisione tra fazioni: da una parte avremmo i protagonisti della storia che incarnano valori corretti, dall’altra i nemici che rispecchiano dei comportamenti inaccettabili.
L’impostazione iniziale di York Shin segue proprio questa struttura: da una parte troviamo Kurapica che, nel ruolo di vendicatore, cerca di recuperare gli occhi dei membri del suo clan, dall’altra il Ragno, cioè coloro che hanno ucciso i Kuruta e sottratto loro gli occhi. Questa struttura binaria, che si rivelerà totalmente inefficace durante lo svolgimento della narrazione, sembra valere almeno a inizio saga, ma solo in apparenza. È vero che Kurapica si presenta come colui che svolge l’azione “giusta”, ma per arrivare nella posizione che gli permette di vendicarsi ha anche dovuto fornire supporto a una famiglia mafiosa, proteggendo un personaggio frivolo ed egoista che ha come hobby la collezione di corpi e organi umani. È altrettanto vero che, parallelamente, la Brigata Fantasma viene presentata a York Shin mentre effettua una strage, ma le vittime sono membri delle varie mafie, così come non viene mai nascosto il fatto che il Ragno si occupi spesso di beneficenza. In ogni caso, la complessità morale della Brigata diventa evidente quando Gon si infuria con Nobunaga durante il loro scontro a braccio di ferro: di fatto gli è inconcepibile che gli stessi individui che uccidono senza pietà dimostrino di provare affezione per i loro compagni cercando vendetta. Questa e simili contraddizioni sono facilmente interpretabili all’interno di un quadro humeano: come lo stesso Chrollo risponde a Gon, il motivo per cui non provano pietà per chi uccidono deriva proprio dal fatto che non li conoscono28.

La rabbia e la frustrazione di Nobunaga per la sparizione di Uvogin che agli occhi di Gon appare inconcepibile.

Una simile affermazione si presta, chiaramente, a essere interpretata tramite il concetto di simpatia: il fatto che esista una distanza tra i membri della Brigata e altri individui esterni è ciò che li porta a valutare le loro azioni come non-immorali. La questione è facilmente comprensibile analizzando la struttura del Ragno. Questo si presenta come un gruppo in cui i membri versano un contributo di fedeltà verso un ente astratto, cioè il gruppo stesso. All’interno della Brigata esistono ruoli e funzioni e ognuno dei membri si rende conto della sua dispensabilità (o meno) nell’economia del Ragno29. Ciò che ha un valore primario è la sopravvivenza del gruppo.
Il risultato è un aggregato di individui che, idealmente, ha una natura fortemente compatta e comunitaria30, in cui i membri si identificano in un ruolo e provano fiducia solo per gli altri membri del gruppo, distanziandosi da strutture sociali più ampie. In un contesto simile è facile vedere come i membri della Brigata non provino alcun tipo di tendenza emotiva positiva verso gli esterni. Il lato più affascinante e profondo della questione si ha, però, dopo il rapimento di Chrollo. In quel caso il Ragno si spacca in due sottogruppi con opinioni differenti, tra chi vuole seguire gli ordini del capo (cosa che porterebbe alla morte di Chrollo) e chi vorrebbe sottostare alle regole dello scambio di ostaggi. Questa complicazione ulteriore è perfettamente in linea con la teoria che abbiamo presentato: nonostante esistano delle forti uniformità all’interno di un gruppo, è impossibile che i singoli individui non abbiano idee, desideri e necessità differenti.
La situazione in cui si trovano i membri del Ragno esprime questa varietà di idee in modo evidente: mentre Nobunaga, Shizuku e Pakunoda ritengono che la cosa giusta da fare sia salvare Chrollo, Phinks e Feitan credono che si debbano seguire gli ordini della Testa. Ciò che è ancora più interessante è che Pakunoda decida di tradire le regole della Brigata per salvare la vita al capo, proprio come Kurapica decide di non uccidere Chrollo (tradendo il suo spirito vendicativo) per non far morire Gon e Killua. È infatti tramite questa azione che Kurapica porta a rivalutare le sue azioni e a percepire l’esistenza di un intreccio di valori contraddittorio e complesso anche all’interno del Ragno. Il punto della questione non è, in questo caso, se le azioni della Brigata possano poi essere valutate “in modo generale” come morali o immorali. Quello che è interessante della scelta di Kurapica è il fatto che il conflitto interiore che sviluppa durante il riscatto nasca dalla percezione di sistemi di valori differenti dai suoi.
L’idea alla base è proprio quella che le azioni dei singoli vadano fortemente contestualizzate all’interno di particolari situazioni, senza presupporre delle regole astratte che, a priori, ci permettano di classificare degli individui come santi o assassini. Piuttosto è più sensato concepire gli altri come coacervi di comportamenti virtuosi e viziosi, spesso in contraddizione; questa perdita di generalità nelle classificazioni morali non è da considerare come un difetto, ma come un fattore fondamentale per comprendere meglio le ragioni altrui e sviluppare in modo più adatto la nostra sensibilità morale.
E, pensandoci bene, è proprio questo il punto fondamentale che le etiche humeane cercano di restituire.

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Bibliografia

  • Balistreri, M. (2010). Etica e romanzi. Firenze, Le Lettere.

  • Botti, C. (2014). Prospettive femministe. Milano-Udine, Mimesis.

  • Foot, P. (2002). Virtues and Vices and Other Essays in Moral Philosophy. Oxford, Clarendon Press.

  • Greco, L. (2008). L’io morale: David Hume e l’etica contemporanea. Napoli, Liguori.

  • Greco, L. (2013). Toward a Humean Virtue Ethics. In Julia Peters (ed.), in Aristotelian Ethics in Contemporary Perspective (pp. 210-23). Londra, Routledge.

  • Hume, D. (1987). Trattato sulla natura umana. Roma-Bari, Laterza.

  • Hume, D. (2017). La regola del gusto e altri saggi. Milano, Abscondita.

  • Slote, M. (2010). Moral sentimentalism. Oxford, Oxford University Press.

  • Swanton, C. (2007). Can Hume Be Read as a Virtue Ethicist?. Hume Studies, 33, 91–113.

  • Williams, B. (1981). Moral Luck. Cambridge, Cambridge University Press.

  • Yupa. (2014). Nausicaa e la natura. Un’analisi critica del fumetto di Miyazaki Hayao. Reperito su https://web.archive.org/web/20170728134153/https://yupa1989.wordpress.com/2014/08/18/nausicaa-e-la-natura-unanalisi-critica-del-fumetto-di-miyazaki-hayao/.

Sitografia

Note


  1. Per una lettura approfondita sul ruolo della natura in Nausicaä si veda Yupa (2014). ↩︎

  2. Questa assunzione è meno pacifica di quello che sembra, ma non sarà scopo dell’articolo approfondire la questione. Per un quadro generale si veda Balistreri (2010). ↩︎

  3. Per una infarinatura divertente sulla complessità dell’autore si consiglia di recuperare il video Yoshihiro Togashi, rimedi alla noia sul canale YouTube Terre Illustrate. ↩︎

  4. Basti vedere Slote (2010), oppure la possibile integrazione con alcune etiche femministe in Botti (2014). ↩︎

  5. Cfr. Greco (2008). ↩︎

  6. Come succede sempre con testi classici, è possibile trovare versioni molto diverse del pensiero di un certo autore. Hume non sfugge a questo fenomeno, trovando interpretazioni che vanno dall’etica delle virtù, al consequenzialismo. Per una visione più chiara del dibattito si veda Swanton (2007). ↩︎

  7. Hume (1987), pp. 481-503. ↩︎

  8. La questione è molto più complessa. In questo articolo abbiamo preferito rifarci all’interpretazione presentata in Greco (2014), sia perché più attinente all’autore originale, sia perché più in linea con la poetica di Togashi. Come sottolineato, questo tipo di teoria non implica alcun tipo di impegno ontologico nei confronti delle proprietà morali, ma questo non vuol dire che non possano essere integrate in una teoria humeana come in Swanton (2007). ↩︎

  9. Questa idea si vede molto bene in Hume (2017), pp. 21-27, seppur ci si riferisca al problema del gusto estetico. ↩︎

  10. Cosa che invece potrebbe essere condannata come immorale in tipi di etiche più astratte; in quel caso l’azione di Thomas potrebbe essere considerata come una negligenza rispetto a certe prescrizioni morali. ↩︎

  11. Williams (1982). ↩︎

  12. Foot (2002). ↩︎

  13. Hume (1987) pp. 332-340, si veda anche Greco (2008), pp. 105-122. ↩︎

  14. In Slote (2010) viene problematizzata una differenza tra simpatia ed empatia; Slote stesso afferma che l’empatia è un principio psicologico molto più solido per le etiche humeane rispetto alla semplice simpatia. In questo articolo la questione non sarà affrontata e il concetto di simpatia sarà preso a grana molto grossa, per essere usato come strumento interpretativo per le opere di Togashi. ↩︎

  15. Balistreri (2010), p. 165. ↩︎

  16. Una traduzione inglese dell’intervista si può ritrovare in https://old.reddit.com/r/HunterXHunter/comments/83js58/togashis_interview_translated_jump_90s_star_road/ ↩︎

  17. Per un approfondimento si veda Balistreri (2010), cap. 3. oppure Hume (2017). ↩︎

  18. Level E cap. 005, p. 191. ↩︎

  19. Se questa ragione sia effettivamente valida è qualcosa che potrebbe essere discusso. Nel contesto che stiamo fornendo, però, cerchiamo di assumere una posizione che potrebbe essere argomentata a livello di senso comune↩︎

  20. Level E, p. 194. ↩︎

  21. La questione è effettivamente controversa, poiché si potrebbero fornire una serie di obiezioni in cui si cerca di dimostrare che i protagonisti si sono comportati in modo immorale nel lasciar perdere la questione. L’obiezione è comprensibile ma, agli occhi di chi scrive, non riuscirebbe a cogliere troppo bene il punto del racconto. Prima di tutto, non sappiamo niente di ciò che succede ai vari personaggi nell’arco di tempo in cui avviene il suicidio della famiglia Yamamoto, quindi non sappiamo se erano possibili delle soluzioni valide per salvare la situazione. In secondo luogo, questo andrebbe contro alle intenzioni del principe Baka nella scrittura della storia, poiché egli stesso afferma di voler mostrare che certi individui non compiono volontariamente azioni malvagie. Un finale in cui, per salvare delle possibili vittime, i protagonisti decidono di denunciare Yamamoto alla polizia avrebbe sicuramente avuto un impatto minore, poiché avrebbe comunque fatto passare i cornwelliani come personaggi ingiusti e “da punire”. Sicuramente immaginare situazioni alternative non espresse dalla storia è uno dei fattori che rende interessante il nostro rapporto con l’arte, ma a volte potrebbe farci sfuggire il punto di un’opera. ↩︎

  22. Questa interpretazione era già stata presentata, seppur in modo molto generale, da Nathan Quaranta in un suo articolo per lo Spazio Bianco. Si veda https://www.lospaziobianco.it/spettri-togashi-lequilibrio/↩︎

  23. Un altro esempio fondamentale è la rivelazione relativa alla politica del Regno dei Morti che Kurama fa a Yusuke, cap. 170. ↩︎

  24. Yū Yū Hakusho cap. 156. ↩︎

  25. Yū Yū Hakusho, cap. 126-127. ↩︎

  26. Parafrasi di cap. 139. ↩︎

  27. Per avere delle coordinate che permettono di cogliere dei lati più sottili dell’estetica di York Shin si veda https://web.archive.org/web/20220922100826/https://bosozoku.it/shintaro-kago-a-york-shin-city-ero-guro-in-hunter-x-hunter/↩︎

  28. Hunter x Hunter, cap. 111. Una cosa interessante è che Gon stesso esibisce un comportamento fortemente contraddittorio durante l’asta dei vasi, fattosta che Sepail nel capitolo 088 si riferisce a Gon descrivendolo come un individuo che non discrima tra bene e male. Giudizio abbastanza bizzarro, considerando le accuse quasi moralistiche che Gon farà contro Nobunaga e Chrollo. ↩︎

  29. Hunter x Hunter, cap. 104 e 114. Non è un caso che i personaggi si riferiscano a questo usando una metaforica anatomica, in cui i membri si identificano nella testa, nel corpo o nelle zampe. ↩︎

  30. Probabilmente il racconto dell’attentato da parte degli abitanti del Paese delle Stelle Cadenti (cap. 102) può servire a presentare un paradigma culturale di carattere comunitario che viene anche adottato all’interno del Ragno. Chiaramente questo non vuol dire che non esistano forti differenze tra i due gruppi. ↩︎

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