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GoGo Monster, realtà, finzione, spazi di gioco.

Introduzione

In questo articolo verrà presentata l’analisi di un’opera di Matsumoto Taiyō pubblicata come volume unico nel 2000, cioè GoGo Monster (GOGO モンスター). Nello specifico, l’articolo cercherà di fornire una chiave di lettura che permetta di comprendere adeguatamente un’opera percepita come complicata e difficilmente penetrabile. Va inoltre considerato che scopo dell’articolo è anche quello di continuare uno studio già iniziato con il precedente elaborato su Ping Pong, sempre reperibile sul blog di Terre Illustrate. Vi sono almeno due ragioni per dare spazio a GoGo Monster. La prima è di carattere editoriale: GoGo Monster è il fumetto che Matsumoto ha realizzato dopo Ping Pong e si tratta dell’unica opera lunga (più di 400 pagine) che l’autore non ha pubblicato su rivista. Questa scelta editoriale è rispecchiata anche dalla struttura dell’opera, divisa in capitoli di lunghezza eterogenea. La pubblicazione di GoGo Monster ha richiesto tre anni di lavoro in cui Matsumoto ha corretto e ricorretto le proprie pagine, al punto di non saper più se erano buone o meno1. Considerando che GoGo Monster riprende esplicitamente alcuni dei temi più importanti di Ping Pong, è abbastanza naturale pensare che questa lunga gestazione coincida con una maggior consapevolezza e profondità degli argomenti trattati.
La seconda ragione riguarda la struttura dell’opera. Solitamente i manga di Matsumoto hanno una compattezza tematica molto elegante, che spesso si lega con lo stile del disegno o il ritmo della narrazione2. Succede di frequente, però, che le opere di Matsumoto trattino temi molto vari, spesso sfumando da un’unica situazione raccontata3. GoGo Monster, da questo punto di vista, sembra essere abbastanza uniforme negli argomenti che affronta. L’opera non fa deviazioni tematiche e sembra andare in una direzione ben precisa, che probabilmente è quella pensata dall’autore4.
È pertanto possibile che comprendere certi punti di GoGo Monster possa permettere di avere una presa abbastanza solida sulla poetica generale del mangaka.
Ad avviso di chi scrive, vi sono due concetti importanti da approfondire per comprendere meglio l’opera: quello di immagine e quello di gioco. Chi è avvezzo alla letteratura specialistica di estetica e teoria dell’arte difficilmente rimarrà sorpreso dall’importanza di questi temi, al centro di molti dei dibattiti contemporanei5. I profani potrebbero, invece, rimanere maggiormente spiazzati dal secondo concetto tirato in ballo. Comunemente tendiamo a vedere il gioco come un’azione puerile, di scarso valore, da relegare al periodo dell’infanzia. Giocare è una forma di svago, un divertimento che va distinto dalla serietà richiesta dall’entrata nella società “dei grandi”. Anche da adulti il gioco continua a esistere, ma in forma estremamente limitata: esempi possono essere una cena con amici, oppure la presenza in tribuna per un evento sportivo. L’idea comune, comunque, è che i giochi siano una parte marginale delle nostre vite, da associare a esperienze e sensazioni frivole nella nostra esperienza quotidiana. Ci sono le cose importanti, poi c’è il gioco. Basta dare una rapida occhiata a vari ambiti scientifici per vedere come questa intuizione non sia solo superficiale, ma persino sbagliata. Non solo i giochi sono parte integrante delle nostre vite, ma sono una pratica sociale importantissima per la produzione della cultura. Non è strano, quindi, che il concetto di gioco possa ricevere un grande interesse anche in ambito artistico. Anche solo nel mondo dei manga, è sufficiente pensare a grandi autori come Araki Hirohiko, Togashi Yoshihiro o Urasawa Naoki per vedere quanto l’atto di “giocare” sia importante. L’articolo cercherà di chiarire questi due concetti, alternandoli all’analisi testuale dell’opera. Un simile approccio è rispecchiato dalla struttura dell’elaborato, diviso in due sezioni principali: una dedicata alle immagini e una dedicata al gioco. Essendo un’analisi dell’opera, è inutile dire che è richiesto, almeno, di aver letto il manga in questione e aver familiarizzato con le sue tematiche.

Apertura sulle immagini

GoGo Monster è una storia che viene raccontata intorno a pochi personaggi. Il protagonista è Tachibana Yuki, affiancato dal compagno di classe Suzuki Makoto, il giardiniere Gantsu e il brillante IQ. Un lettore che volesse essere provocatorio potrebbe contestare queste affermazioni dicendo che, in realtà, i personaggi di GoGo Monster sono molti di più. Non ho infatti considerato Superstar o Chance o tutti gli altri mostri, nemici di Yuki, che invadono la scuola portandola a una progressiva decadenza. Tutti i personaggi a cui ci siamo riferiti ora però sono invisibili: non vengono mai presentati con la stessa vividezza di Yuki, Makoto e gli altri. Eppure, stando a ciò che dice Yuki, loro ci sono e sono parte integrante del racconto, seppur non vengano mai mostrati. Come possiamo già intuire, GoGo Monster è un’opera in cui ciò che si può vedere o meno ha un ruolo fondamentale per lo sviluppo della storia, così come per le sue tematiche. Il rapporto tra visibile e invisibile può essere fruttuosamente analizzato all’interno dell’opera da due punti di vista, sia da quello diegetico che da quello extra-diegetico. Iniziamo analizzando il ruolo che questo rapporto ha a livello extra-diegetico, per poi passare al suo uso interno alla storia. La narrazione di GoGo Monster vive di suggestioni e di non-detti.
Durante la lettura ci troviamo a confondere i vari punti di vista dei personaggi, come succede a pagina 19.

La seconda vignetta di pagina 19 ci mostra il punto di vista di Yuki.

Qui troviamo, in modo abbastanza chiaro, una differenza tra i punti di vista di Yuki e quello del compagno di classe Makoto. Nella seconda vignetta è possibile notare delle strane linee, simili a volti, disegnate all’interno delle gocce di pioggia che scendono sul vetro. Quello è, plausibilmente, il punto di vista di Yuki6. Nella quarta, invece, questi volti sono assenti. Questo è il punto di vista di Makoto. Un simile stratagemma si presenta più volte all’interno della storia, fino a diventare difficilmente decifrabile nel capitolo Inverno, in cui è presente un’alternanza continua di prospettive. Allo stesso modo, uno dei motori dell’opera, cioè il bullismo compiuto dai bambini verso insegnanti e altri compagni, non è mai realmente esplicitato, se non da frasi fugaci o scene specifiche. Leggendo da pagina 93 a pagina 99, per esempio, è possibile comprendere che Yuki è stato picchiato dai compagni per recuperare l’orologio di Makoto. Un simile evento, però, non viene mai rappresentato visivamente nella narrazione. Allo stesso modo non si vede mai nessuno dei bambini rompere un vetro, oppure boicottare la lezione di uno degli insegnanti. Tutte queste informazioni possono essere ricavate solo da elementi disseminati per tutta l’opera. È abbastanza interessante notare, però, che un simile tema non sia affatto secondario. Al contrario, questo è un ingrediente necessario per la comprensione della storia. Matsumoto sembra essere ben consapevole del potere che le immagini hanno sul lettore, sulla sua capacità di decifrare in modo adatto particolari eventi. Eppure, durante la lettura di GoGo Monster, è possibile che questi elementi sfuggano totalmente a un lettore poco attento. È plausibile pensare che lasciare un simile elemento narrativo come invisibile al lettore non sia solo una disattenzione da parte dell’autore, ma sia una scelta ponderata e consapevole7. Come dovremmo interpretare una simile scelta stilistica? Diamo subito una risposta che, però, sarà più chiara dopo che il lettore avrà confrontato questo punto con il modo in cui il non visibile è affrontato all’interno della storia. Matsumoto sembra voler mettere il lettore nella stessa situazione di Yuki. Proprio come il protagonista, anche il lettore si ritrova a dover decifrare gli eventi della storia come se fossero causati da entità invisibili (che, nel nostro caso, sono i compagni di classe). L’idea sembra proprio quella di voler far sentire al lettore cosa si prova a vedere degli effetti che sono provocati da entità che non vediamo mai per tutta la narrazione, fattosta che non è difficile credere al racconto di Yuki sui mostri cattivi. Dopotutto anche il lettore non ha mai alcuna prova visiva che a provocare tutte le disgrazie scolastiche siano gli altri bambini. Detto questo, speriamo che la cosa diventi più chiara andando avanti con l’analisi. Facciamoci ora la domanda più spinosa. All’interno della narrazione8 cosa sono i mostri citati anche nel titolo dell’opera? Come viene più volte esplicitato nella storia, i mostri non hanno una natura strettamente sensibile. Non possono essere visti come vediamo tavoli e sedie. Una simile idea è affermata da Yuki, che sostiene di avvertirli grazie al “potere della mente”, quanto dal giardiniere Gantsu, che riporta le testimonianze di altri bambini sensibili a queste presenze. L’interpretazione più plausibile è che i mostri siano in realtà delle “proiezioni” psicologiche che il piccolo Yuki fa a causa della sua fervida immaginazione. Questa interpretazione trova un forte riscontro anche nel personaggio di IQ, il primo a svelare a Yuki la natura finzionale di Superstar e Chance. Oltre a questo, vi è anche un altro elemento testuale che va in questa direzione. A pagina 112 è presente una scena in cui uno dei compagni di classe di Yuki legge un estratto come compito assegnato dalla maestra. È chiaro come un simile fenomeno possa essere interpretato meta-narrativamente come un modo per rappresentare il processo con cui Yuki arriva a “costruire” i mostri:

A volte leva un profondo ruggito dentro di me.
La voce della creatura dentro di me risuona distante…
Striscia su per il mio corpo come un rombo della terra che echeggia contro i fianchi delle montagne.
Non ha il coraggio di riconoscere spontaneamente la propria identità.

Non solo il riferimento a qualcosa che “fuoriesce” dalla propria interiorità è centrale, ma questo qualcosa è anche dipendente da noi (Non ha il coraggio di riconoscere spontaneamente la propria identità.). Banalmente, una fantasia cessa di esistere una volta che smettiamo di immaginarla. I “mostri” non sono altro se non una fantasia di Yuki, qualcosa che non esiste realmente9. Di un’idea simile pare essere anche la maestra di Tachibana che, parlando con il custode, classifica il comportamento del bambino come una sorta di delirio10. Si potrebbe quindi sostenere che Yuki (preda delle sue fantasie) viva in un mondo “tutto suo”, totalmente disancorato dalla realtà, che lo porta a estraniarsi dagli altri. Considerando la componente morale/pedagogica che è facilmente intuibile nell’opera, qualcuno particolarmente avventato potrebbe dare quindi una prima interpretazione del tema principale del manga. Cioè che GoGo Monster inviti ad abbandonare le proprie finzioni per “abbracciare la realtà” e le altre soggettività che la popolano. Quello che sosteniamo in questo articolo non è solo che una simile interpretazione sia banale, ma che nasca da una lettura superficiale dell’opera11. Pensandoci bene, Matsumoto ci fornisce un appiglio grafico abbastanza efficace che può, plausibilmente, portarci in una direzione totalmente differente da quella sostenuta dal recensore avventato. Una direzione in cui scopriamo che il comportamento di Yuki, che normalmente definiremmo “delirante”(proprio come fa la maestra), non è così differente da una serie di azioni che anche noi lettori compiamo quotidianamente. Cerchiamo di spiegare questo punto. All’interno della storia possiamo trovare diversi modi in cui i mostri possono essere individuati dal lettore. Uno di questi è l’uso di vignette in cui non viene esplicitato chi stia parlando e in cui le frasi enunciate sono stilisticamente affini a quelle che solitamente vengono dette da Yuki12. La strategia preponderante per rappresentare i mostri, però, è quella grafica. Osservando bene i disegni, infatti, è possibile notare delle linee che richiamano dei volti in specifici oggetti naturali come fiori, foglie o gocce di pioggia. Che un simile artificio grafico serva a rappresentare la presenza dei mostri è chiaramente esplicitato già dalle prime pagine dell’opera. Già nelle pagine 10, 11 e 12 possiamo infatti notare una scena in cui Yuki, inizialmente preoccupato per la scomparsa dei suoi amici, dà loro il buongiorno dopo aver visto un volto in una delle gocce di pioggia. È chiaro quindi che i mostri si possano trovare osservando attentamente queste scene.

Ora potremmo farci una domanda particolarmente sofisticata dal punto di vista semiotico. La risposta a questa domanda, però, potrebbe portarci verso una strada interessante, essenziale per comprendere adeguatamente l’opera. Chiediamoci infatti se le linee che vediamo all’interno del disegno (e che solitamente associamo ai mostri) valgano o meno come simboli per il lettore. Detta in modo più semplice, possiamo notare come spesso all’interno di un fumetto vi siano degli elementi del disegno che non sono realmente parte dell’evento descritto. I baloons sono un esempio evidente per spiegare ciò di cui stiamo parlando. Per il lettore che sta approcciando la storia, le vignette sono una componente grafica della tavola (stesso discorso per le lettere al loro interno), ma a nessuno verrebbe mai in mente di pensare che queste facciano realmente parte della storia. Nessun personaggio, all’interno del mondo descritto dalla storia a fumetti, ha realmente intorno a sé un’enorme nuvoletta con delle lettere all’interno13. Discorso identico per le onomatopee. Entrambi sono strumenti grafici a cui i lettori danno un valore simbolico, per rappresentare altro nella storia (ad esempio voci, pensieri o suoni). Quello che ci stiamo chiedendo è se i volti che Matsumoto rappresenta all’interno dell’opera servano solo a individuare la presenza dei mostri per il lettore (un po’ come un’onomatopea rappresenta un suono), oppure se sia ciò che effetivamente Yuki e altri bambini percepiscono nella storia. La posizione che sosteniamo in questo articolo è la seconda. Ciò che noi lettori vediamo quando leggiamo il manga è anche ciò che viene percepito da Yuki. Come emergerà più avanti nell’articolo, questa è la posizione che ci sembra più plausibile in quanto la più coerente con le tematiche e la narrazione dell’opera. La ragione per prendere la posizione opposta è che, all’interno di GoGo Monster, viene ribadito anche da Yuki che i mostri sono invisibili. Siamo tornati al punto di partenza però, quindi dovremmo capire meglio cosa si intende per “invisibile” e cosa per “visibile”.

Vedere mostri, nel quotidiano

Quando diciamo di vedere qualcosa ci riferiamo a una gamma molto ampia di significati, metaforici o meno. Possiamo dire infatti di vedere quello che sta succedendo, poiché comprendiamo ciò che sta accadendo, così come possiamo vedere dove un nostro conoscente andrà a finire, se continuerà a uscire con certe compagnie. Quello che ci interessa, in questo caso, è il significato più semplice e diretto (il meno metaforico potremmo dire), cioè quello percettivo. Noi vediamo colori, tavoli, piante e persone, nel senso che abbiamo una particolare funzione cognitiva che ci permette di ricevere informazioni dall’esterno secondo un certo formato, cioè quello visivo. Fin qua il discorso è banale. Ciò che potremmo osservare, però, è che nella gamma degli oggetti che diciamo di percepire visivamente esistono delle profonde differenze. Di fatto, non diciamo solo di vedere colori, tavoli o persone, durante la nostra esperienza percettiva ma anche forme e strutture14. Per rendere le cose più concrete, si consideri il seguente esempio. Ci troviamo di fronte a una delle illusioni di Jastrow, una delle classiche illusioni ottiche che spesso ci vengono presentate già durante la nostra infanzia. Osservando l’immagine notiamo subito una lepre. Questo però non basta: chi ci ha presentato l’illusione ottica ci dice di osservare attentamente, poiché vi è un’altra figura nascosta nell’immagine. Noi, confusi, iniziamo a osservarla più attentamente, la esploriamo cercando di capire quale sia l’altra figura di cui sta parlando. Improvvisamente abbiamo una risposta: oltre a una lepre, nella stessa immagine possiamo vedere anche un’anatra.

L’illusione dell’anatra-coniglio è una delle illusioni ottiche più rinomate tra quelle proposte dallo psicologo Joseph Jastrow.

Di fatto, prima vi era qualcosa che non vedevamo, ora lo vediamo. Se non troviamo questa specifica illusione convincente poiché estremamente inflazionata, non è importante. Possiamo infatti notare che casi simili possono essere ritrovati continuamente nella nostra vita quotidiana. A chiunque è capitato sicuramente di notare che le parti frontali o posteriori di un’automobile sembrano richiamare dei volti15; allo stesso modo è alquanto raro che qualcuno non abbia mai notato che le nuvole hanno spesso forme che ci sono familiari. Noi in questi casi vediamo più cose. Se un cumulo di nubi ci ricorda un cagnolino, noi vediamo sicuramente le nuvole con tutte le loro caratteristiche, ma vediamo anche un cane. Magari ciò che notiamo è molto lontano da un cane come lo conosciamo normalmente: un cagnolino di nuvole non ha ossa, né muscoli, né cervello. Un cane di nubi non può abbaiare né, tantomeno, uscire per una passeggiata. Rimane il fatto che, in questi casi, noi interpretiamo delle informazioni visive in qualche modo e questo ci rende in grado di vedere un cane che, fino a un secondo prima, non riuscivamo a vedere. In qualche modo la nostra immaginazione “si infiltra” nella nostra percezione e ci permette di interpretare certe informazioni in modo nuovo. Pensandoci attentamente, questo fenomeno avviene continuamente quando ci approcciamo alle immagini. Quando vediamo un bel ritratto, ci sembra normale parlarne come se questo fosse una persona: possiamo parlare della pelle di chi è rappresentato, dei suoi capelli o del vestito. Concretamente, non esiste alcuna pelle di fronte a noi, non ci sono capelli e nemmeno un vestito. Se non avessimo alcuna capacità di interpretare le immagini, ci sembrerebbe un delirio collettivo andare a una mostra d’arte e sentire altre persone parlare dell’enfasi di una battaglia o della grazia di un cherubino di fronte a tele macchiate di colore. Questo però non succede.
In quei casi non vediamo solo delle macchie di colore, ma vediamo anche una battaglia.
Chiaramente la nostra educazione nell’interpretazione delle immagini ci impedisce di pensare di trovarci di fronte a una vera battaglia, ma rimane il fatto che in quel caso noi parliamo come se ci trovassimo di fronte a un conflitto.
Arrivati a questo punto, è chiaro come una simile spiegazione possa essere applicata al caso di Yuki. Non è infatti così assurdo pensare che un bambino con un’ immaginazione spontanea16 particolarmente fervida possa vedere in modo più vivido certe forme all’interno della propria percezione. Semplicemente, l’immaginazione di Yuki gli permette di cogliere una serie di immagini e strutture che noi non riusciamo a cogliere, per motivi legati alle nostre capacità immaginative. L’idea fondamentale all’interno della storia è che vi sia una differenza di sensibilità percettiva tra Yuki e gli altri personaggi17. Proprio come gli altri bambini, anche noi lettori potremmo trovarci nella situazione di non vedere le stesse cose che Yuki vede.
Una persona incapace di vedere gli amici mostruosi di Yuki potrebbe quindi essere equiparato, in qualche modo, a qualcuno incapace di notare un’immagine che si forma dai colori di un quadro, oppure a qualcuno a cui risulta impossibile comprendere la struttura di una melodia18. Un’interpretazione simile risulta ancora più plausibile se la confrontiamo con il dialogo tra Gantsu e Makoto nelle pagine da 155 a 159. Qui viene esplicitamente detto dal guardiano che non è la prima volta che incontra un bambino come Yuki, sensibile a ciò che non si vede e non si sente.
Inoltre, sempre nel dialogo tra Gantsu e la maestra, viene esplicitamente anticipato dal guardiano che, di lì a poco, l’interesse per l’altro mondo da parte di Yuki sarebbe svanito.
Queste scene non sembrano implicare una forma di delirio collettivo tra gli alunni delle scuole elementari. Piuttosto, è più plausibile pensare che esistano dei bambini dotati di certe condizioni cognitive che permettono loro di vedere in modo diverso alcune situazioni.
Condizioni che, per una ragione o per un’altra, tendono a svanire con il tempo.
Abbiamo fornito un’interpretazione più solida sulla capacità di Yuki di vedere i mostri.
Questa spiegazione, però, risulta totalmente inefficace per comprendere il capitolo Inverno, parte criptica e densa che costituisce il capitolo più lungo dell’opera. Ciò che sosterremo nella prossima sezione è che, al fine di comprendere meglio quel capitolo, sarà necessario connettere la spiegazione sulle immagini che abbiamo appena esposto con una nozione ancora più generale.

Dalle immagini al gioco

Le immagini hanno un ruolo fondamentale nella nostra vita. Possiamo veramente dire che, specialmente nella società contemporanea, siamo costantemente ricoperti da un telo di immagini. Banalmente, basti pensare che anche chi leggerà questo articolo dovrà per forza interagire con immagini che vengono proiettate da uno schermo (che sia da smartphone o da pc).
Le immagini hanno una serie di funzioni fondamentali. Durante la lettura di un’opera ci fanno entrare all’interno di un altro mondo, allontanandoci da quello che normalmente percepiremmo. In questo senso, anche in GoGo Monster si fa un riferimento a un mondo parallelo in cui Yuki è immerso. Finora abbiamo analizzato solo questa funzione delle immagini. Questa loro caratterizzazione è, però, in qualche modo superficiale. Le immagini non hanno solo un ruolo informativo. Certamente, tramite le immagini possiamo avere informazioni su altre zone del mondo reale, come succede guardando un telegiornale. Oppure le immagini possono darci consapevolezza di cose che nessuno avrebbe mai esperito nel nostro quotidiano, come succede quando queste vengono usate nei modelli scientifici, oppure nel cinema o in pittura. Ma questo non è sufficiente. Ciò che sfugge a una caratterizzazione puramente conoscitiva delle immagini è che queste esercitano un potere nei nostri confronti. Vedere certe immagini ci fa piangere o ridere, ci porta a fare certe scelte invece che altre. Le immagini di un trailer hanno un effetto psicologico su di noi, spingendoci ad andare al cinema. Quelle che vediamo durante la lettura di un fumetto possono farci ridere, oppure straziarci. Pensandoci qualche minuto, è abbastanza assurdo che una rappresentazione di qualcosa che è irreale abbia un effetto così sconvolgente sul nostro animo.
Matsumoto sembra essere ben consapevole di questa cosa; probabilmente è qui che si nasconde il cuore di GoGo Monster. Come abbiamo già puntualizzato, gli amici mostruosi di Yuki sono immagini che il bambino vede in modo molto vivido. Questa vividezza dipende dal fatto che gli oggetti forniscono certi insights su cui Yuki riesce a costruire usando la propria immaginazione.
Ci sfugge, però, quale sia il ruolo che i mostri hanno all’interno della vita del bambino. In altre parole, che potere i mostri esercitino su Tachibana. Dopotutto, è proprio perché Yuki non fa altro che parlare dei suoi amici che gli altri compagni di classe lo schivano, bollandolo come bizzarro. Per comprendere meglio questo punto, è necessario richiamarsi a certe posizioni in estetica che vedono il concetto di immagine come strettamente legato a quello di gioco19. Secondo queste prospettive i giochi sono una componente fondamentale delle nostre vite, sia durante l’infanzia che nell’età adulta. Quando siamo piccoli i giochi occupano una parte consistente delle nostre giornate. Giocando noi ci immedesimiamo, in qualche modo, in una particolare situazione che non staremmo vivendo realmente. Da bambini possiamo fare finta che un masso sia un drago, mentre il ramoscello che abbiamo raccolto è una spada lucente. In quel particolare contesto noi facciamo finta di essere realmente nel mezzo di un conflitto con una creatura mitica, almeno durante la durata del gioco.
Perché il gioco riesca, però, questa condizione di immedesimazione è necessaria. Poniamo che due bambini siano nella posizione appena descritta. Se uno dei due iniziasse a credere che quello che hanno di fronte non è niente di più che un sasso, il gioco fallirebbe. L’idea di autori come Walton è che i giochi non siano solo una parte fondamentale della nostra infanzia, ma che si trasmettano anche nell’età adulta in modo molto più sofisticato. Non stiamo parlando solo di giochi “riconosciuti” come le carte, gli scacchi o il basket, ma anche di attività che normalmente non riconosceremmo come gioco. Quando leggiamo un libro, per esempio, stiamo facendo esattamente qualcosa di simile. In qualche modo “giochiamo” a essere in una certa situazione (quella descritta dal libro). Anche in quel caso esistono regole di pertinenza del gioco che, se rotte, possono provocare effetti di vario genere, come la perdita di interesse per il testo. Stesso discorso per altri tipi di azioni, come osservare un dipinto, guardare un film o giocare un videogame20. Capiamo quindi come le immagini abbiano spesso un ruolo fondamentale per i giochi. Uno scrittore particolarmente evocativo ci porta più facilmente all’interno del suo mondo. Se i bambini di cui parlavamo prima scelgono di combattere un masso che ricorda un drago anche nella forma, è chiaro che l’immedesimazione nel gioco sarà maggiore. Ciò che stiamo dicendo non è che i giochi richiedono sempre delle immagini per immedesimarsi (si pensi a sport come il tennis), ma che le immagini possono avere un ruolo importantissimo in questo. Proprio come la nostra vita è immersa nelle immagini, allo stesso modo potremmo definirla come un’intersezione di giochi a cui spesso partecipiamo senza esserne realmente consapevoli. Data questa interpretazione, diventa facile comprendere in che senso le immagini esercitino un potere nei nostri confronti. Quando guardiamo un film, per esempio, le immagini che vediamo ci fanno commuovere perché in qualche modo partecipiamo al gioco che è implicito nel film. Allo stesso modo, potremmo dire che un’icona sacra può commuovere un credente perché ha un aspetto rilevante nel gioco di essere credente. Non è strano che certe immagini di guerra strazino certe persone mentre lasciano totalmente indifferenti altri; questo dipende dalla loro capacità di partecipare a un gioco (seppur straziante) in cui si immedesimano nelle vittime. Quest’ultimo esempio serve a dire che il concetto di gioco non è qualcosa che dovrebbe essere relegato all’intrattenimento (come invece il nostro modo comune di pensare ci suggerisce). “Giocare” a immedesimarsi nelle vittime di un conflitto è tutto meno che qualcosa che riguarda l’intrattenimento o il divertimento.
Un gioco è qualcosa in cui seguiamo delle regole e usiamo la nostra immaginazione per calarci all’interno di un particolare contesto. Non è detto che un gioco debba essere divertente, almeno quanto non è detto che richieda a più persone di competere. Assumendo che questa caratterizzazione molto generale sia pacifica, resta ancora da chiarire quale siano le funzioni dei giochi nella nostra vita.
Detto concretamente, a cosa ci serve compiere azioni di questo tipo? Non è solo uno spreco del nostro tempo? Una possibile risposta viene dall’antropologo Cristoph Wulf, che individua alcune delle funzioni principali che i giochi possono avere. Tra queste, tre in particolare sono particolarmente importanti per il nostro articolo:

  1. Partecipazione sociale: “Grazie al contenuto simbolico delle forme ludiche d’interazione e comunicazione e, soprattutto, grazie ai processi performativi d’interazione e generazione di significato le comunità si costituiscono, si trasformano e garantiscono la loro stabilità nel gioco. Causa originaria, processo ed effetto dell’emergere di azioni ludiche, le comunità non si distinguono tra loro soltanto per mezzo del sapere simbolico condiviso collettivamente, ma anche per mezzo delle forme d’interazione e comunicazione ludiche nelle quali e con le quali i membri delle comunità mettono in scena il loro sapere. Queste messe in scena rispondono al tentativo di auto-rappresentare e riprodurre l’ordine sociale, di generare sapere simbolico condiviso e soprattutto di dischiudere spazi d’interazione e campi di azione drammatica per i membri della comunità. I giochi generano comunità in senso emozionale, simbolico e performativo: sono campi d’azione scenici e performativi, nei quali i partecipanti al gioco armonizzano reciprocamente i rispettivi mondi percettivi e i loro universi di rappresentazione […].”21
  2. Superamento delle crisi: “I giochi consentono alle comunità di gestire in maniera produttiva esperienze di differenza e situazioni di crisi. Nel corso del gioco i membri della comunità sono in grado di elaborare esperienze d’integrazione e/o di segregazione. I giochi possono dunque contribuire al raggiungimento di un accordo comunicativo circa una situazione nuova, avvertita come una minaccia e che mette in crisi la quotidianità.”22
  3. Comprensione della realtà: “Situazioni che nella vita reale non si lasciano completamente dominare e controllare possono essere messa in scena e “testate” nei giochi, […]. I giochi, perciò, possono essere considerati come arrangiamenti in grado di ridurre la complessità del reale e grazie ai quali gli individui entrano in rapporto a un “altro”, a un “esterno”: stabiliscono linee di demarcazione, oltrepassano distanze e sviluppano la credenza che le forze performative e mimetiche che si sviluppano nel gioco non solo operino verso l’interno, ma anche verso l’esterno e siano perciò in grado di esercitare un influsso sulla “realtà”. Quando gioca, l’uomo si trasforma in un “altro”. Questa trasformazione, da un lato, è catalizzata dalla componente simbolica del gioco, che rinnova e modifica ’esperienza traslandola sul piano dei significati sacrali; dall’altro, è resa possibile e incentivata dall’azione performativa in comune, che genera nuova realtà.”23

Possiamo quindi capire come i giochi abbiano un ruolo essenziale per compiere particolari azioni della nostra vita. Arrivati a questo punto, possiamo provare ad applicare queste nozioni a GoGo Monster. Risponderemo, con ordine, a due domande: quale sono le regole del gioco di Yuki? Quale sono le funzioni che questo gioco ha per la vita del bambino?
Il gioco fatto da Yuki ha un carattere prettamente comunicativo. Il bambino chiama a sé Superstar, Chance e gli altri mostri, per tutta risposta loro si palesano in qualche modo, incoraggiandolo.
Oltre a questo, può succedere che i mostri chiedano al giovane Yuki di compiere particolari azioni, come quella di suonare il suo bastone d’argento, oppure di aiutare Chance nei suoi dispetti. In questo modo il rapporto tra Yuki e i mostri non è solo di incoraggiamento, ma di vera e propria partecipazione. Compiendo le azioni richieste dai suoi amici, Yuki diventa parte, seppur simbolicamente, del gruppo di Superstar. In questo modo possiamo spiegare anche l’interesse di Yuki per il giardinaggio. Come viene più volte esplicitato dal bambino, la fioritura e fenomeni affini sono eventi causati da Superstar. È naturale, quindi, che Yuki trovi piacere ad accudire il giardino, punto di contatto tra lui e il mondo invisibile. In totale contrasto esistono dei mostri “cattivi” che devono essere eliminati e vengono combattuti da Superstar e soci. Partecipando con le sue azioni, in qualche modo anche Yuki può aiutare i suoi amici a vincere sui cattivi.

L’ipotesi che il gioco di Yuki abbia una natura comunicativa e cooperativa sembra essere confermata anche da IQ. Nelle stesse pagine in cui viene spiegata al protagonista la natura dei mostri, viene azzardata anche una spiegazione di queste apparizioni. Secondo IQ i mostri sono delle proiezioni immaginative che nascono dal bisogno di Yuki di socializzare con gli altri, mentre i mostri cattivi rappresentano la sua parte asociale, che si distanzia dai compagni. Vediamo che dietro a questa spiegazione è sottintesa una risposta alla seconda domanda che ci siamo posti. Secondo IQ, quindi, i mostri nascono da un desiderio alla socializzazione che affiora in Yuki, senza però che lui riesca a sfogarlo. Se è così, possiamo capire come le azioni di Yuki rispecchino le tre funzioni che abbiamo individuato. Il gioco di Yuki è un gioco solitario. È comunque interessante notare, però, come il bambino leghi con Makoto e Gantsu proprio quando loro cercano di comprendere le regole del suo gioco. Gantsu non si rivela mai dubbioso sulla natura dei mostri, oppure sul fatto che Yuki stia mentendo o meno su ciò che vede. Al contrario, è proprio il vecchio a suggerire al protagonista dei luoghi dove “loro” potrebbero essersi nascosti. Allo stesso modo, Makoto lega in modo unico con il suo compagno di banco quando inizia a interessarsi a ciò che dice sui mostri. Sono Gantsu e Makoto a entrare un poco alla volta nello “spazio di gioco” di Yuki. Ma è innegabile che sia proprio tramite questo gioco che i due stringono un rapporto di amicizia con il protagonista. Infine, è chiaro che lo scontro tra i mostri buoni e i mostri cattivi rappresenti un modo usato da Yuki per comprendere meglio il mondo che lo circonda.
Il protagonista della storia si trova nella situazione di essere emarginato dai compagni di classe, una situazione simile può essere di difficile elaborazione persino per un adulto. In particolare, la storia di GoGo Monster inizia con l’arrivo di nuovi alunni che causano uno squilibrio nell’ambiente scolastico. Dopo il loro arrivo, il numero dei vetri che vengono rotti aumenta, così come aumentano i casi di bullismo ed emarginazione all’interno della scuola. Questo conflitto, che ha una natura sociale molto complessa, viene metaforizzato in modo molto più semplice come una lotta tra mostri buoni e mostri cattivi. Non è un caso che Yuki attribuisca ai cattivi la responsabilità dei danni che la scuola subisce. È proprio in relazione a quest’ultimo punto che la figura di IQ diventa particolarmente affascinante da esaminare. Come Yuki, anche lui viene emarginato dagli altri poiché diverso, seppur questo dipenda da una spiccata intelligenza. A differenza di Yuki, questa spaccatura viene metabolizzata da IQ come una forma di superiorità sociale, che lo fa ergere sopra tutti gli altri. Basti pensare che il personaggio passa buona parte del suo tempo in una conigliera, nella quale proietta un parallelismo simbolico tra i conigli e i suoi compagni di scuola. Dal suo punto di vista, il rapporto tra lui e gli altri alunni è come quello che ha con dei conigli; creature tenere, ma intellettualmente inferiori. Nonostante questo, ha un coniglio preferito che chiama, in modo indicativo, Yuki. IQ percepisce un’affinità tra lui e il protagonista, per questo prova più volte a interagire con lui.

Inverno/Conclusione

Arrivati a questo punto, diventa molto più facile comprendere il capitolo più corposo dell’opera, cioè Inverno. Nelle (poche) analisi che si trovano a riguardo, di solito questo capitolo viene descritto come onirico, metafisico o lynchiano. Stiamo parlando di aggettivi adeguati, specialmente se ci riferiamo alla componente “visiva” delle scene rappresentate. Questo appello a qualcosa di assurdo o ineffabile non dovrebbe però impedirci di comprendere cosa stia succedendo, a vari livelli, nella storia. Il capitolo inizia dopo l’avvicinamento di Tachibana ad IQ. Questo avvicinamento è dovuto al senso di angoscia che Yuki inizia a provare notando che, gradualmente, i suoi amici mostruosi non si stanno più manifestando. Per questo motivo il bambino decide di entrare in relazione con IQ che, in modo aridamente razionale, riesce a dargli una spiegazione solida dei suoi cambiamenti. Questo senso di angoscia è simboleggiato in modo evidente dalle metafore mortifere che Yuki usa durante tutta l’opera. Il fatto di “non poter più vedere Superstar e gli altri” equivale a un cambiamento corporeo: il cervello si indurisce come pietra e il corpo inizia a decomporsi. In questa situazione, Yuki trova un contatto con l’unica persona che riesce a spiegargli i suoi cambiamenti. Di fronte a questa angoscia, diventa anche facile comprendere perché Yuki decida di rifugiarsi con IQ al quarto piano della scuola. Rifugiarsi, nascondere e scappare sono visti come un modo di fermare questa decomposizione parziale; questo è possibile solo abbandonandosi totalmente alla propria immaginazione. Chiaramente questa è un’occasione anche per IQ, che finalmente può trovare qualcuno con cui condividere la propria “scatola”.
I due personaggi si isolano in un mondo inaccessibile dagli altri e iniziano a immaginare una serie di cose che trovano piacevoli della loro vita: indicativo che molte delle scene oniriche che vediamo dal punto di vista di Yuki riguardino i fiori e il giardinaggio. Da un certo punto, però, alcune delle figure che prendono posto nell’immaginazione di Yuki iniziano a essere il vecchio Gantsu e Makoto.
Questo porterà alla rottura del rapporto tra Yuki e IQ, con il conseguente abbandono del quarto piano. Cosa è successo di preciso?
Un’analisi chirurgica del capitolo è estremamente complessa e potrebbe impantanarci in problematiche di lana caprina: di fatto l’alternanza tra realtà e fantasia è estremamente serrata all’interno di Inverno ed è difficile discriminare i due piani. Ciò che è importante, però, è comprendere i motivi per cui il gioco tra Yuki e IQ viene rotto. Perché, in altre parole, i due escono dal quarto piano che, anche nella mappa iniziale, era descritto come una tana delle creature invisibili. La questione può essere compresa facilmente riprendendo tutti i punti che avevamo già discusso. Yuki si costruisce un ambiente immaginario che ha una funzione compensativa: i mostri rappresentano, in qualche modo, il suo desiderio di partecipare comunicativamente con altri individui. Poiché l’ambiente a cui il bambino è abituato (e che vede come positivo) è quello, è facile capire come possa sentirsi angosciato dalla sua perdita. Questa perdita di immaginazione dipende proprio dal fatto che Yuki stia legando con Makoto, e che quindi non abbia più bisogno di strumenti compensativi. Yuki però non comprende questa cosa, almeno fino al finale, in cui vede Makoto cercarlo all’interno del quarto piano. Yuki decide volontariamente di uscire dal mondo dei mostri perché si rende conto che esiste un ambiente che lui trova molto più importante. Come avevamo già accennato, questo punto non deve essere interpretato mettendo in contrapposizione realtà e fantasia. Nella sua scelta di uscire dal quarto piano Makoto non “rigetta simbolicamente” la fantasia per “entrare nella realtà”. Semplicemente capisce che il gioco dei mostri è un gioco che può anche non essere più giocato. L’idea è sottile e si riallaccia all’articolo su Ping Pong pubblicato su Terre Illustrate. Matsumoto non sembra suggerire un primato tra varie dimensioni quanto, piuttosto, il fatto che nella nostra vita ci ritroviamo continuamente a giocare. Giocare ci serve a comunicare, a stringere rapporti, a capire meglio il mondo. Però, allo stesso modo, un gioco non deve essere qualcosa che va mantenuto se smette di svolgere la sua funzione, oppure se non riesce più a soddisfarci. Abbastanza indicativo, infatti, che le ultime pagine dell’opera siano dedicate a descrivere una scena in cui Yuki è ancora intento a giocare (questa volta in bicicletta), ma insieme a Makoto. In linea con la sua opera precedente, anche qua Matsumoto sembra suggerire una visione del gioco come una cassetta degli attrezzi fondamentale nella nostra vita, ma i cui pezzi possono essere tranquillamente gettati una volta che non ne abbiamo più bisogno.

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Bibliografia

  • Huizinga J. 2002. Homo Ludens. Einaudi.
  • Furuya U. 2019. La musica di Marie. Coconino Press.
  • Kago S. 2014. Uno scontro accidentale sulla strada per andare a casa può portare a un bacio?. Hikari Edizioni.
  • Matsumoto T. 2000. GoGo Monster. J-POP Edizioni.
  • McCloud S. 1994. Understanding Comics: the invisible art. HarperPerennial.
  • Walton K. 1990. Mimesis as Make-Believe. On the Foundations of Representational Arts. Harvard University Press.
  • Wittgenstein L. 2017. Ricerche filosofiche. Einaudi.
  • Wulf C. 2018. Homo imaginationis. Le radici estetiche dell’antropologia storico-culturale. Mimesis.

Sitografia

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Note


  1. https://www.du9.org/en/entretien/matsumoto-taiyou/ ↩︎

  2. Si pensi a Ping Pong o a I Gatti del Louvre, in cui i momenti concettualmente più profondi si legano al culmine del climax narrativo e alla sperimentazione stilistica. Oppure si pensi alla varietà tematica di Sunny, rispecchiata dalla natura frammentaria ed episodica della narrazione. ↩︎

  3. In Ping Pong il rapporto tra Peko e Smile può essere interpretato dal punto di vista estetico, come nell’articolo pubblicato su Terre Illustrate, ma anche da quello della crescita tramite la mimesi, come è stato esposto in https://dellecosenascoste.wixsite.com/home/post/ping-pong-the-animation-desiderio-e-crescita-nella-relazione-di-maestria↩︎

  4. Anche questa, in realtà, può essere vista come una conseguenza della diversa modalità di pubblicazione. ↩︎

  5. Già solo in Italia, basti pensare alla produzione accademica sulle immagini di Andrea Pinotti.
    Per quanto riguarda il gioco, esiste una letteratura sterminata sull’argomento che va dall’antropologia alla filosofia analitica contemporanea. ↩︎

  6. Cfr. pag. 11 in cui vi è una prima presentazione di questo fenomeno. ↩︎

  7. Come abbiamo già ricordato, una simile interpretazione non pare nemmeno plausibile. Lo stesso Matsumoto afferma di essere tornato una quantità innumerevole di volte sull’opera per rifinirla; credere che un elemento cardine della narrazione non sia esplicitato per via di una svista è un’interpretazione ingenua. ↩︎

  8. Cioè considerandoli all’interno delle regole del mondo di GoGo Monster, senza interpretarli come simboli, metafore o altri artifici metanarrativi. ↩︎

  9. Pag. 186 ↩︎

  10. Pag. 202 ↩︎

  11. Dopotutto, anche Gantsu non sembra convinto dell’affermazione della maestra sullo stato psicologico di Yuki, pag. 202. ↩︎

  12. A esempio, pag. -3 ↩︎

  13. Shintaro Kago sfrutta in modo brillante questa ambiguità tra rappresentazione effettiva e simbolo in un divertente racconto della raccolta Uno scontro accidentale sulla strada per andare a scuola può portare a un bacio?↩︎

  14. Cfr. Wittgenstein. 2017. ↩︎

  15. Questo punto viene osservato in modo abbastanza divertente anche in McCloud. 1994. ↩︎

  16. Cfr. Walton. 1990. ↩︎

  17. L’idea che esistano differenze percettive tra singoli individui è un’idea che, nell’articolo su Ping Pong, è emersa in relazione al concetto di competenza motoria. In questo caso sembra che il fenomeno sia invece legato alle capacità immaginative di chi percepisce. Non ho mai riflettuto troppo su questo tema, ma è plausibile pensare che anche altre opere di Matsumoto approfondiscano questo punto. ↩︎

  18. Un confronto interessante sarebbe con la geniale opera La musica di Marie di Furuya Usumaru. In quel caso il tema della differenza percettiva viene messo a confronto con l’esperienza religiosa e l’opera, in modo non così dissimile da GoGo Monster, termina con un’interrogazione conclusiva sul ruolo delle finzioni nella nsotra vita. L’uso di un sarcasmo pungente da parte di Furuya è sicuramente un modo di narrare differente da quello di Matsumoto, ma proprio questa differenza potrebbe portare a una comparazione fruttuosa. ↩︎

  19. Un punto di riferimento sarà Walton. 1993. ↩︎

  20. Chiaramente qui stiamo facendo esempi abbastanza banali. Alcuni autori sostengono che anche una aprte delle nostre pratiche sociali, come fare la guerra, siano interpretabili a partire dalla nozione di gioco. Si veda Huizinga. 2002. ↩︎

  21. Wulf. 2018. p. 171. ↩︎

  22. Wulf. 2018. p. 172. ↩︎

  23. Wulf. 2018. pp. 172-173 ↩︎

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